INTERVIEW – Nella vetrina dell’Italia a Bruxelles: incontro con Jacopo Panizza, il libraio italiano che vede suo paese bello da lontano

Sono le quattro del pomeriggio e a due passi della Commissione europea, entro in un locale che non si fa catalogare usando solo una parola. Le finestre sono decorate da poster, qualche ritaglio funzionano come carta da parati e contro i muri, vedo armadi che contengono libri ordinati per genere. Osservo la presenza di cartelli: poesia, filosofia, narrativa, classici… In mezzo alla stanza sono esposti sedie e tavoli, tutti e due in legno. Adesso i mobili non assumono la loro missione nella vita, ma nonostante l’assenza di persone, si sente l’atmosfera accogliente che viene espirato dal insieme. Forse le bottiglie di vino, che mi guardano da un armadio accanto agli armadi dei libri, hanno a che fare con quel giudizio.

In questo locale ho un incontro con Jacopo Panizza, il cofondatore del locale, per parlare dell’Italia, dell’immigrazione e dell’identità che segue dall’immigrazione italiana. Panizza si trova accanto ai libri, dietro un bancone e sul suo ‘trono’, supervisionando il suo regno. È l’uomo che ha riuscito a catalogare questo posto, che si può descrivere come ristorante/libreria/enoteca, usando solo una parola: Piolalibri. È anche un uomo che ha mille cose da fare, però, per gentile concessione dell’invenzione del multitasking, ha il tempo per fare un’intervista, a patto che ci diamo del tu.

Hai aperto una libreria italiana in un paese che non ha nemmeno un confine in comune con l’Italia. Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto è nato quindici anni fa, nel 2007. Vivevo a Bruxelles da 2002 e avevo notato che c’erano italiani: lavoravano agli istituzioni e alle grandi compagnie che ci sono qua. Allora ho pensato che non c’era una libreria italiana, mentre tutti questi italiani immigrati, che sono di un certo livello di educazione, leggeranno e si interesseranno alla cultura. Dunque, con Nicola (Nicola Taricco, ndr), che è il mio socio e che aveva già un’enoteca che si chiamava La Piola, abbiamo deciso di aprire questo locale usando lo stesso nome. Lo scopo era quello di creare un locale ibrido: un posto dove uno possa venire sia per vivere e sentire la cultura italiana che per mangiare e bere. Ovviamente anche comprando libri e assistendo agli numerosi eventi che organizziamo. E poi, piano pianino, soprattutto per colpa della crisi finanziaria del 2007-2008 in Italia, tanti italiani sono venuti in Belgio e a Bruxelles. Dunque alla fine, non è stata una cosa così assurda, aprire una libreria italiana a Bruxelles.

Quindi la gente può venire a Piolalibri per avere un’esperienza completa?

Si esattamente! Se non ci fosse il ristorante, non esisterebbe Piolalibri. È un qualcosa che fa convivialità ed è dunque fondamentale quell’aspetto del bere e del mangiare. ‘Una piola’ è anche un vecchio modo per indicare un luogo di passaggio dove negli antichi con il cavallo si fermavano e mangiavano. È un modo abbastanza semplice anche da ricordare le origini del locale.

Hai già citato la crisi che ci è stata durante gli anni 2007-2008 e l’immigrazione che ne è seguita. Un articolo, pubblicato da De Standaard nell’anno 2015, portava sull’immigrazione in Belgio: A quanto pare gli italiani sono il gruppo di stranieri più numeroso in Belgio. Secondo te, cosa rende il Belgio un paese così popolare per gli espatriati italiani?

È facile integrarsi in Belgio perché non ha una forte identità. Ha diverse identità: c’è l’identità vallone, l‘identità fiamminga, l’identità germanica… È un paese che è abituato a ricevere immigrati dove si può facilmente entrare in contatto con le persone.

Nel frattempo Panizza si è alzato dal suo ‘trono’. Con la precisione di un esperto cerca e trova un libro che si situa a un metro da me. Lo prende, lo guarda e decide di portarlo dietro il suo bancone, sempre proseguendo il suo discorso.

Non è un paese molto orgoglioso. Credo che sia un po’ questo. Riguarda Bruxelles in particolare, perché è una città che non ha una forte influenza di solo una cultura, come Parigi o Berlino hanno una forte influenza francese o germanica. È una città molto semplice dove ci sono tante diverse immigrazioni.

In Belgio, le migrazioni italiane nel contesto minerario sono note. Si può pensare ad esempio alla storia del grande musicista Rocco Granata che era figlio di un minatore. C’è un legame fra questo flusso migratorio e quello del ventunesimo secolo?

Certo che c’è un legame. La prima volta quando sono arrivato, sono andato a vedere le miniere, come a Marcinelle. Ho potuto vedere un concerto di Adamo che è un altro figlio di migrati italiani. Dunque sì, c’è un forte legame con quella generazione che è comunque una generazione molto diversa della nostra. Ha una visione molto antica dell’Italia che risulta in un gran voglia di tornare e molti sono pertanto tornati. L’atteggiamento della nuova generazione degli immigrati italiani è diverso e anch’io credo che questa nuova generazione stia meglio qua che in Italia.

Quindi non ritornerà più questa nuova generazione?

(riflette un attimo) Non credo, no.

Questa comunità che proviene dalla migrazione mineraria potrebbe essere un pubblico futuro per i suoi libri italiani? Anche loro leggono.

Beh, leggono La Gazzetta dello Sport (ride). Sì, forse le nuove generazioni, i figli dei figli, sono più interessati a trovare le radici della famiglia, perché forse l’italiano l’hanno perso. Vedo spesso che molti figli, che non parlano benissimo italiano, vogliono comunque riprenderlo, studiando l’italiano all’università. Abbiamo molti ordini da Genk o dalla zona di La Louvière o Mons.

La campanella suona e un uomo entra nel negozio. In un italiano difettoso si rivolge a Panizza.
Cliente: “Buongiorno, ho ordinato La gioia di vivere di Sapienza.”
Panizza: “Intende L’arte della gioia di Sapienza?”
Cliente: “Sì, sì, L’arte della gioia. Per favore.”

Forse sono alla ricerca della loro identità. Una ricerca che costituisce una questione molto pertinente per tanti espatriati, non soli italiani. In un’altra intervista hai già parlato dell’identità europea. È vero che ti senti più europeo che italiano?

Certo. Sono nato con la nascita dell’europa. Il mio studio (Giurisprudenza, ndr) e il mio carattere si sono sviluppati in un periodo in cui l’unione europea si stava formando, anche con vari programmi di studio Erasmus e con la possibilità di viaggiare più facilmente. Allora mi sono sempre visto come uno europeo perché sono più affine a questo, anche per motivo del mio carattere. Quindi non mi definisco italiano ma mi definisco europeo.

Durante la tua vita adulta, hai vissuto prevalentemente all’estero: hai studiato in Germania e in America, e hai lavorato a Londra e a Bruxelles. Si conosce davvero il proprio paese solo quando ci si trasferisce all’estero?

Sì, direi proprio di sì. Così si capisce meglio. Quando stai in tuo paese sei più influenzato, più corrotto (ride), dalle idee, dalla tua vita che sembra fatta. Dunque, quando stai lontano, vedi i dispregi, i difetti e come funziona veramente il tuo paese. Da lontano si può ‘apprezzare’ (risata verde) e capire meglio la situazione.

Come vedi l’Italia dopo i tuoi spostamenti?

La vedo bella da lontano (ride), non ci ritornerò mai. È un paese che si sta chiudendo, che non ha della buona energia e dove c’è molto la rabbia. Ci sono sicuramente delle genialità che nascono in Italia, però in generale è un paese molto complicato da vivere. Uno straniero direbbe ‘che bello vivere in Italia’, ma solo uno che ci è nato può capire. Solo uno che ci ha vissuto capisce veramente.

Quindi l’obiettivo di aprire Piolalibri potrebbe essere quello di proporre la cultura italiana in un modo veritiero?

Sì certo! Quando abbiamo aperto qua, volevamo sempre proporre una storia diversa dal stereotipo, dal cliché della cultura italiana. Sia qua dentro che fuori cerchiamo di dare un’impressione dell’Italia che non è sola quello che leggi sui giornali.

La campanella suona e un uomo entra nel negozio. Vuole regalare un libro, dice in francese, a sua figlia che studia italiano. Sempre in francese Panizza propone due libri che sono usciti da poco. L’uomo li prende con un entusiasmo temperato e dà un’occhiata agli altri libri. Il suo tono cambia quando riconosce un nome sulla copertina di un libro. “È l’ultimo di Ferrante, quello?”, chiede.

Credo di aver notato uno sguardo di delusione sulla faccia di Panizza. Forse perché Ferrante non propone una storia che è molto diversa dal stereotipo della cultura italiana. Alla fine l’uomo li compra tutti i tre. Sembra un ottimo compromesso.

Così hai organizzato a Piolalibri anche la presentazione del libro Catene della destra, che tratta dell’ascesa dei partiti politici di destra e di tutte le conseguenze, con l’autore Claudio Cerasa. Il locale era affollato.

Soprattutto in questa zona qua (il quartiere europeo a Bruxelles, ndr), la politica è molto importante. Il fatto che la presentazione di Claudio Cerasa era molto seguita, è un ottimo esempio. Gli italiani qua, a Bruxelles hanno votato parecchio.

Nonostante gli Italiani a Bruxelles abbiano votato parecchio, l’affluenza è, con appena il 63,9%, stata storicamente bassa per le elezioni a settembre. Gli italiani non si interessano più alla politica?

Soprattutto negli ultimi anni, ci si è sviluppata una distanza tra la gente e i politici. Gran parte degli italiani erano delusi quando il primo ministro venivo deciso non dal popolo, ma da accordi parlamentari. Ha creato una disaffezione della politica. Tanti Italiani dicono che votare non cambia niente. Trattano la politica un po’ come trattano il bene comune: dalla panchina nel parco che viene danneggiato ai rifiuti che vengono buttati per terra, non c’è un grande rispetto per il bene comune in Italia. È un po’ lo stesso rapporto che sta diventando con gli italiani e la politica: una mancanza di rispetto.

Adesso l’Italia ha un presidente dell’estrema destra: Giorgia Meloni. L’autore del libro, Claudio Cerasa, ha indicato durante la sua presentazione che non era preoccupato nel senso che non era preoccupato di cosa farà Meloni, ma era preoccupato di cosa non farà Meloni. Tu, ti preoccupi?

(Ride) Mi ricordo di quella frase. Adesso vediamo che la Meloni sta cambiando molto il suo atteggiamento. Vediamo che sia sulla poltrona in europa che in Italia si sta dimostrando più moderato che previsto. Non sto difendendo le sue idee politiche, sono all’opposto delle mie, però il non fare… (dubita)… bisogna capire cosa, c’è la necessita di cosa? È ancora troppo presto per dare un giudizio sia sul fare che sul non fare e quello che diceva Cerasa. Bisogna un attimo per vedere se questo ‘non fare’ va creare problemi.

Il futuro dell’Italia sembra allora poco chiaro. Come vedi il futuro di Piolalibri?

Vogliamo continuare a fare cultura, eventi et cetera. Sempre cercando di diffondere un’idea, come dicevo prima, dell’italia che è diversa di quello che uno può immaginare. Sempre migliorarsi e adattarsi sia alle nuove esigenze che alle nuove necessità. Come abbiamo fatto durante la pandemia portando libri a casa. Mi piacerebbe inoltre creare un punto come questo da qualche parte nelle fiandre. Città come Gent, Leuven, sono posti interessanti: hanno un livello d’istruzione abbastanza alta, ci sono anche gli italiani e la gente che studia l’italiano. Lo vedo dalle ordini che abbiamo.

Guardando le maglie di calcio sul muro gli chiedo un’ultima domanda.

Per chi tiferai sui mondiali? (L’intervista è stata fatta prima del campionato mondiale di calcio a cui l’Italia non si era qualificato)

Per il Belgio ovviamente! Ho il passaporto belga quindi il Belgio … sono diventato belga.

Dopo che Panizza mi ha accompagnato alla porta, ho capito che non è per caso che è stato proprio Panizza a creare questo locale: europeo, italiano, belga… come Piolalibri, anche Jacopo Panizza non ha una singola identità e non si fa catalogare usando solo una parola. 


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